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RoastPigeon

Cambio di piano: il viaggio da Merida a Playa del Carmen

È arrivato il girono. Dopo due mesi passati nella città più noios…ehm, tranquilla di tutto il Messico, è infine giunto il momento di ripartire.
Per dove, vi chiederete? Bene, eccovi illustrato il nostro preciso e per nulla organizzato all’ultimo piano di viaggio. Lasciata Mérida ci dirigeremo verso Playa del Carmen, che fungerà da base operativa per visitare tutta la zona di Tulum e Akumal. In seguito ci sposteremo a Cancun, dove ci attende un volo interno (prenotato faticosamente dopo un’ora al telefono con un addetto “inglese” della compagnia aerea, che parlava tutto fuorché inglese) per Playa del Carmen. Poi, dopo aver trascorso lì qualche giorno, attraverseremo in autobus il Messico centrale per dirigerci a Guadalajara. Infine faremo la strada a ritroso in direzione Città del Messico (perché sì, sarebbe stato troppo semplice volare da Cancun a Guadalajara e POI andare a Puebla, che si trova a un’oretta scarsa dalla capitale), da dove sorvoleremo l’Atlantico per tornare in madrepatria. E se questo non vi sembra ancora abbastanza contorto, considerate che dovremo attraversare tutto il Paese con: due valigie, due trolley, una quantità esorbitante di borse e borsette piene di souvenirs e, piccolo dettaglio, un gatto (con annessi trasportino, lettiera e cibo) e due bici.
Ma torniamo a noi. La sera prima di partire per Playa del Carmen ci dirigiamo, come due ladri prima di una rapina in banca, a fare un sopralluogo della stazione degli autobus, in modo da riuscire a determinare se riusciremo a trasportare tutti i bagagli fino almeno alla sala d’attesa senza farci uscire un’ernia del disco. Approfittiamo dell’occasione per iniziare a portare in là le bici e le leghiamo ad un palo, nella speranza che durante la notte qualche povero disgraziato le rubi, togliendoci il peso di doverle portare con noi per quasi un mese. Dopo che Desi riesce a impedire a Luca di lasciare le catene delle bici “casualmente” aperte, ci procuriamo una lauta cena d’asporto al Subway della stazione e torniamo sconsolati a casa, consapevoli del fatto che, ad eccezione dei vestiti, gettati a caso in sacchetti sottovuoto a cui abbiamo tolto l’aria con un’aspirapolvere presa in prestito dall’altra parte della città (e che, essendo stati oggetto di violenze e angherie da parte della nostra amabile gattina, si sono rigonfiati poco dopo), non abbiamo ancora ritirato nulla.
Il mattino successivo, dopo una notte insonne passata a prendere tutto ciò che c’era in casa e gettarlo a casaccio dentro zaini e borse della spesa, usando la scusa che tanto, non essendo in aereo, non avremmo avuto problemi circa eventuali eccessi di peso o probabili eccessi di quantità, siamo pronti per lasciare il luogo che ci ha fatto da casa per due mesi. Dopo aver quasi perso l’Uber per colpa del nostro gentilissimo e super disponibile host (il proprietario di casa), che ha deciso di presentarsi per il check-out con quasi un’ora di ritardo, arriviamo al terminal degli autobus, dove Luca può constatare che sì, purtroppo le bici sono ancora lì, e di conseguenza dovrà caricarle sul bus insieme a tutti gli altri bagagli.
Il tempo di una deliziosa colazione a base di panini con prosciutto, formaggio e un bel peperoncino piccante intero, abilmente nascosto alla vista degli ignari clienti, e il tabellone degli orari annuncia che l’imbarco è imminente. Ci dirigiamo quindi alla zona di carico, dove Luca e un addetto della ditta di trasporti si occupano di caricare valigie e bici nel bagagliaio, mentre Desi lì osserva a distanza senza accennare ad intervenire, ma tenendo in braccio e coccolando la piccola Rajah.
Saliti finalmente sul pullman e distrutti sia fisicamente che mentalmente, ci prepariamo per cinque ore di sonno e tranquillità in attesa di giungere a destinazione. Programma che viene interrotto dieci minuti dopo, quando l’autista preme un pulsante e dal soffitto sbucano fuori dei mini schermi televisivi, sui quali vengono mandati in onda prima uno scoppiettante western e poi un allegrissimo film su una donna malata di cancro, il tutto ovviamente in lingua spagnola. Insomma, ci rendiamo conto da soli che l’unica opzione praticabile è quella di ascoltare un po’ di musica e ammirare il paesaggio, a memoria degli eterni viaggi in autobus ai tempi del liceo. La gatta, invece, è l’unica che riesce a farsi cinque ore filate di sonno, e lo fa giusto per dimostrarci quanto, da stronza quale è, riesca a dormire bene, dopo aver passato le notti precedenti a saltare in giro e morderci i piedi.
Il viaggio procede stranamente bene, e nel primo pomeriggio, con il sole ancora alto nel cielo, giungiamo a Playa del Carmen. Abbandonate nuovamente le bici attaccate ad un palo (con le stesse speranze della sera precedente) e caricate le valigie su un taxi, partiamo alla volta dell’appartamentino che abbiamo affittato per questi giorni.
Ora, c’è una cosa che dovete sapere del Messico, ovvero che è enorme. Di conseguenza le distanze tra due o più luoghi, così come le vediamo sulle mappe, sono completamente sfasate rispetto alle distanze reali.
Per questo motivo, al momento di prenotare l’Airbnb ne abbiamo scelto uno fuori dal centro, aspettandoci di poter giungere sulla Quinta Avenida in dieci minuti di passeggiata. Avendo in mente queste aspettative, ci stupiamo un po’ quando il taxi tira dritto oltre la circonvallazione esterna prima e i confini della città poi, preoccupati in realtà più che altro del fatto che il tassista ci possa star riportando a Merida, andando così a vanificare due giorni di preparativi. I nostri pensieri cambiano quando la vettura di ferma davanti ad un complesso residenziale circoscritto all’interno di quattro mura bianche, a cui si accede attraverso un cancello sorvegliato 24h da una guardia, che richiede un documento di identificazione a ogni “esterno” che desideri accedervi, e immediatamente iniziamo a sospettare di essere appena diventati ostaggi dei narcos, e che il viaggio non si sarebbe concluso come avevamo immaginato. Varcato l’ingresso e superata la piscina riservata ai residenti del complesso (noi compresi), il taxi ci accompagna fino alla nostra casa, davanti alla quale ci aspetta Luis, che si rivelerà essere l’host migliore in cui avremmo potuto sperare. Luis prende le nostre valigie e ci accompagna dentro, dove ci aiuta a sistemarci. L’appartamento, eccezion fatta per l’ingresso che sembra quello del Ripostiglio del sottoscala 4, Privet Drive Little Whinging Surrey, è perfetto. Perciò, dopo aver svuotato sommariamente le valigie, aver liberato il gatto ed essere collassati per un periodo di tempo indefinito sul letto, siamo pronti per cominciare questa nostra nuova avventura.

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