Ciao Amico Viaggiatore! Se hai mai fatto almeno un viaggio in aereo sai benissimo che una delle principali preoccupazioni una volta atterrati riguarda il ritrovamento delle valigie : "e se le hanno perse? Dove saranno finite? Speriamo che nessuno me le rubi". Insomma un sacco di paranoie. Ma l'ansia per i bagagli era un punto al fondo della lista dei problemi che avremmo dovuto affrontare una volta messo piede in Messico. Sapevamo benissimo che durante il nostro percorso ci sarebbero stati alcuni ostacoli. Certo, non cosi presto… esattamente 10 minuti dopo l'atterraggio, quando ci troviamo alla frontiera Messicana dell'aeroporto di Città del Messico; dopo qualche minuto di coda, infatti, ci avviciniamo ad un gabbiotto, dove una guardia aereoportuale ci chiede di presentare documenti e autocertificazione Covid 19. Va tutto bene finché non ci chiede quanto tempo abbiamo intenzione di passare in Messico; infatti alla nostra risposta "3 mesi" reagisce alzando un sopracciglio e attacca a parlare uno spagnolo stretto e veloce, lasciandoci un po' perplessi. Tentiamo quindi un approccio in inglese, ma la signora sembra avere scarse abilità linguistiche e continua imperterrita a metterci in difficoltà. Passati i primi momenti di confusione iniziamo a gesticolare, al che anche lei comincia ad indicare punti imprecisati attorno a sé e a farci segni con mani e braccia. Una scena imbarazzante, vista da fuori. Riusciamo a capire che vuole sapere dove alloggeremo e, datole l'indirizzo preciso della nostra abitazione messicana, chiede anche il biglietto di rientro. Ora, nessun italiano sano di mente attiva il Roaming dati fuori dall'Italia, figuriamoci fuori dal continente, ragion per cui ci trovavamo senza internet, senza chiamate o messaggi. E il biglietto aereo di ritorno era conservato nelle email ricevute da Iberia circa un mese e mezzo prima. Irrintracciabili. Ci si prospettano quindi diverse opzioni: attivare la connessione dati, in modo da avere internet a sufficienza per aprire le email e farle vedere la nostra prenotazione del volo Mex-Trn, ma ciò può avvenire soltanto ricaricando almeno 50 euro sul telefono, quindi la scartiamo rapidamente. La seconda opzione è quella di mettersi a correre a caso per l'aeroporto cercando di entrare in Messico, ma finiremmo probabilmente impallinati 3 metri dopo la frontiera. Oppure potremmo tornare a casa e mettere fine all'agonia Maya, ma dopo tutto il tempo e il denaro speso per sta follia sarebbe poco intelligente, e poi il gatto di certo morirebbe. Ma dopo aver pronunciato qualche frase sconnessa in uno spagnolo inventato e aver quasi perso le speranze, a Luca viene un'idea tanto geniale quanto scomoda: inizia a disfarsi di cuffie, macchina fotografica, cappelli, sciarpa, felpa e, una volta liberatosi dall'intreccio mortale, inizia a sfilarsi lo zaino dalla spalle. E mentre Desi pensa che glielo voglia tirare in faccia e cerca una rapida via di fuga, Luca apre la cartella e tira fuori una a una tutte le cose che ci sono dentro; finché non riesce ad afferrare il computer, che accende appoggiandosi sul ripiano del gabbiotto, per poi aprire il file pdf dei nostri biglietti, salvato preventivamente prima della partenza. (Grazie Luca). Dopodiché provo a far presente alla guardia che con noi viaggia anche un gatto, ma lei se ne frega e ci dice che dovremo farlo presente ai controlli successivi. Appurata la validità dei nostri documenti, otteniamo finalmente il visto, con il quale possiamo ritirare i bagagli, che grazie al cielo non sono stati persi. Poi proseguiamo lungo il corridoio fino ad arrivare al punto di "self declaration", che funziona più o meno così: appena ti avvicini con la valigia vieni bloccato da un gruppo di militari che ti chiedono se hai con te materiale illegale o potenzialmente pericoloso. Ora, se dici di si, ti verrà requisito il bagaglio che verrà messo su un rullo, poi aperto, rovistato e privato del contenuto proibito. Se dici di no, invece, potrai continuare il tuo percorso a ostacoli e raggiungere il successivo blocco, dove ti controlleranno il passaporto e il visto per poi entrare finalmente nel Paese. Noi ce lo immaginiamo più o meno così: "Salve, ha con se oggetti pericolosi, infiammabili o illegali?" "Si, ho portato un pacchetto di coca e un machete, che faccio, lascio qui?". Inutile dire che i responsabili del controllo valigie avevano lasciato la postazione rullo per andare in pausa caffè o, più probabilmente, in vacanza. Non avendo droghe o armi con noi, ci presentiamo davanti alle guardie molto tranquilli, e ad ogni domanda rispondiamo ovviamente di no. Ma quando stanno per farci passare, Desi decide di rovinare tutto, dicendo questo: "No armi, no droga, però tengo un gatito" e sorride, indicando il trasportino di Rajah ricoperto da un'enorme tenda bianca, da cui spuntano sacchetti di plastica, mollette da bucato e lacci di scarpe. (tranquillizziamo l'animo dell'Amico Viaggiatore spiegando che nei sacchetti c'erano crocchette per gatti, mentre lacci e mollette servivano a tenere insieme la tenda, messa per non far passare troppa luce nel trasportino). L'unica cosa che è riuscito a dire Luca, mentre tornavamo sui nostri passi per andare a fare il controllo del trasportino e dell'animale al suo interno, è stata "Ma cosa ti ridi, ora dobbiamo rifare tutto. El gatito un ca...". Dopo aver ripercorso tutto l'aeroporto a ritroso, arriviamo all'ufficio per il controllo animali e, dato che non c'è nessuno davanti a noi, speriamo di sbrigarcela in fretta. Infatti, 55 minuti dopo, ci fanno passare e controllano per filo e per segno tutte le vaccinazioni e i documenti di Rajah, ma invece di consegnarci il documento "lasciapassare" del gatto, ci mettono in mano l'equivalente messicano delle nostre pagine gialle, con evidenziati una decina di numeri di telefono. Nonostante il nostro scarsissimo spagnolo, riusciamo a leggere i nomi evidenziati in giallo fluo, tutte le voci dicono "Veterinario aereoportual"; ci abbiamo messo più di mezzora a capire cosa stava succedendo, ma spieghiamo in breve: a Rajah mancava l' "external deworming", ovvero il nostro antipulci. Abbiamo provato ripetutamente a spiegare alla responsabile dell'ufficio controllo animali che in Italia l'antipulci si può comprare in un qualsiasi negozio di animali, e che è il padrone a metterlo al gatto, (cosa che prima di partire abbiamo ovviamente fatto); ma non ha voluto darci ascolto, quindi per far si che il gatto potesse entrare in Messico abbiamo dovuto aspettare il veterinario e far trattare Rajah. Per tutta questa tiritera ci sono volute quasi due ore, ma ottenuto il lasciapassare giungiamo finalmente agli arrivi dell'aeroporto. Essendo ora di pranzo decidiamo quindi di fermarci al McDonald's e ordinare totalmente a caso un paio di cose viste sul menù. Ci arrivano al tavolo delle crocchette di cipolle e due mini burritos, il tutto accompagnato da due giganteschi caffè americani. In effetti era ora di pranzo, ma in Italia. In Messico invece erano da poco passate le sette di mattina, motivo per cui nei locali veniva servita soltanto la colazione. Demoralizzati, decidiamo quindi di passare il metal detector, nonostante al decollo dell'aereo che ci porterà finalmente a Mérida manchino ancora più di 6 ore, ore che abbiamo passato a leggere, a lavorare al blog, a bere frappè di Starbucks e a portare a spasso la gatta. Alle 13.30 annunciano il gate da cui partiremo, e una volta raggiunto saliamo sull'aereo. Hai presente, Amico Viaggiatore, il primo aereo su cui siamo saliti, quello che ci ha portati da Torino a Madrid? Ecco, questo è 10 volte peggio. Più piccolo, più traballante, più scomodo. Appena saliamo ci rendiamo conto che i posti non sono da due ma da tre; accanto a noi si siede una vecchina italiana, che per fortuna non sembra avere troppi problemi a viaggiare accanto ad un gatto. Il viaggio procede bene, finché non sorvoliamo Mérida. Il capitano da l'annuncio, siamo pronti ad atterrare. Proprio in quel momento, però, si stava scatenando una delle tempeste più grandi che noi avessimo mai visto, ma il pilota non si fa troppi problemi e prosegue, essendo che nello Yucatan è iniziata da poco la stagione delle piogge, quindi situazioni del genere sono all'ordine del giorno. Facendo questa mossa però, l'aereo perde quota e ci ritroviamo un po' troppo vicini alle case; è necessario tornare su, quindi il pilota spara l'aereo nell'iperspazio alla velocità della luce, esce dalla tempesta e si mette a volare in cerchio per una decina di volte. Quando poi si accorge che sta per terminare il carburante, fa rotta verso Cancún, dove atterriamo e aspettiamo sull'aereo che la tempesta su Mérida passi. Circa un'oretta dopo arriviamo a destinazione, atterrando su una pista completamente allagata che permette all'aereo di fare giusto un po' di acquaplaning, per non farci rilassare troppo. Scendiamo dall'aereo senza fiatare e poi, sempre in silenzio, corriamo a prendere le valigie e usciamo dall'aeroporto. Mettiamo piede in Messico per la prima volta nella nostra vita, nella terra dei Maya, ai tropici, in America, nel Nuovo Mondo. Ma non ce ne può fregare di meno, abbiamo appena rischiato di morire, quindi per ora avere i piedi per terra è già un bel traguardo. Saliamo su un taxi che ci porta in pochi minuti al nostro appartamento, entriamo, ci laviamo le mani, sfamiamo il gatto e andiamo a dormire. Al resto penseremo domani.
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